mercoledì 18 dicembre 2013

Elegia per un treno che odiavo



Dal quindici dicembre l’interregionale Milano-Venezia non esiste più. Negli anni avevo imparato a evitarlo, e nonostante tutto lo conoscevo fino alla nausea. La prima volta che ci sono salito il prezzo del biglietto aveva ancora una sola cifra, e gli interni, gli schienali spigolosi di gomma, la strana tappezzeria incollata sulla parete di fondo del vagone, mi sembravano l’opera improvvisata di un tossicomane. 

Poi, un viaggio dopo l’altro, l’odore di plastica arroventata nei vagoni, i cigolii sinistri degli interstizi tra le carrozze, i cessi poco raccomandabili quando non proprio fuori servizio, i neon che si spegnevano, a tratti, nella notte – tutto questo mi è diventato familiare come una deformità del mio stesso corpo, un male che, di tanto in tanto, torna a far sentire i suoi sintomi, senza dar segno di peggiorare, né di guarire. In seguito la malattia si è rivelata degenerativa, terminale, indotta da medici che perseguivano la morte del paziente.

D’inverno il calore saliva da un tubo d’acciaio squadrato sul quale, sedendo al finestrino, si potevano appoggiare i piedi; d’estate soffiava a volte un’aria condizionata gelida e carica di umidità, ma più spesso le tende lacere sbattevano fuori dai finestrini spalancati. 

Ho visto la neve e la pioggia filtrare dal soffitto, le rastrelliere cariche di bagagli enormi e misteriosi, la nebbia stendersi oltre i finestrini durante soste inspiegabili nel bel mezzo della campagna. Una volta, poco lontano da Brescia, il treno si è fermato proprio davanti a un locomotore in fiamme, e il vento ci ha spinto addosso la colonna di fumo nero. A Peschiera dei ragazzini che tornavano da Gardaland mi hanno deriso perché leggevo un libro troppo voluminoso. A Treviglio una specie di gigante malato mi si è seduto accanto ed è piombato subito in un sonno profondo, scosso ma non interrotto da colpi di tosse via via più preoccupanti. Un’altra volta ho incontrato una famiglia di neri voluminosi, bardati di collane, turbanti e caffetani elaborati. La matrona sembrava la regina di una tribù lontana, si faceva aria con un ventaglio colorato, sedeva sul seggiolino reclinabile. È scesa a Brescia, come tanti africani.

Sull’interregionale non ho mai conosciuto una bella ragazza o un assassino, né ho assistito a una rapina o un deragliamento – nessuna delle cose, insomma, che capitano nei film. La massima parte di quei viaggi l’ho passata da solo, a leggere in silenzio. Con buona approssimazione potrei dire di non aver mai rivolto la parola a nessuno, tranne le frasi di circostanza al controllore, quando questi riusciva a farsi largo tra la calca. Per molte ore sono rimasto senza un posto a sedere, con l’unico conforto della valigia a farmi da poltrona. Ogni volta che passavo davanti al lago di Garda provavo l’impulso di scendere, buttare nell’acqua il telefono e i documenti, e scomparire senza lasciare traccia né messaggi. Ma in un modo o nell’altro, per motivi che a volte fatico a spiegarmi, ho sempre continuato il viaggio, sempre sono arrivato a destinazione. 

Mi chiedo ora dove finiranno i convogli: saranno abbandonati su binari morti periferici, destinati al tiro a segno e all’occupazione temporanea, alla ruggine e all’incendio doloso? Oppure saranno dirottati su altre tratte, e continueranno la loro corsa fino allo stremo, alla polverizzazione?

L’agonia dell’interregionale è stata artificiale e lungamente pianificata: biglietti sempre più cari, corse via via più rade e perciò ancora più sovraffollate, obliteratrici fuori servizio, ritardi programmatici, addirittura incentivati dal denaro pubblico. La tela dei sedili era ormai lisa, annerita dal sudore rancido. Già da molto tempo chi aveva scelta era fuggito verso le cosiddette Frecce, pagando il doppio o il triplo per un treno che trasporta meno immigrati, che a volte arriva in orario e sul quale, occasionalmente, perfino il wi-fi e le prese i corrente sembrano funzionare. Il servizio pubblico è stato lasciato putrefare prima ancora della sepoltura, ma in compenso abbiamo la tessera per gli sconti e la raccolta punti. Ben presto potremo averne due o perfino tre di società diverse, e viaggeremo liberi e ticketless verso il migliore dei mondi possibili.

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