mercoledì 19 febbraio 2014

"Inside Llewyn Davis", di Joel ed Ethan Coen


A proposito di questo film ho letto diverse recensioni anche autorevoli, di solito entusiastiche, e tutte parimenti superficiali. In generale vi si dice che questa è la storia di un musicista che non riesce a sfondare perché non ha abbastanza talento, oppure perché non è originale e interpreta solo canzoni scritte da altri (!), o ancora, perché rifiuta di suonare brani commerciali. Il che mi sembra una banalizzazione, se non proprio un equivoco. Come sempre nel cinema dei Coen, ogni personaggio, ogni situazione, ogni battuta ha almeno un secondo livello di lettura. Ecco, questo film non parla veramente di musica.

Certo, Llewyn desidera suonare in locali importanti, vendere molte copie del suo album, essere riconosciuto come un professionista – in una parola, desidera il successo. Ma è di questo che ha bisogno?

Llewyn è un uomo adulto che dorme a scrocco sui divani degli altri, perché non ha una casa dove tornare. Ha avuto una relazione con la ragazza di un suo amico, perché non ha nessuno che lo ami. Del resto anche la ragazza del suo amico lo odia: l'avventura è nata morta, è finita – letterlmente – in un aborto. Llewyn dunque non fa altro che vagare senza meta, come un Ulisse senza un’Itaca a cui tornare. Cosa c’è che non va in lui? È Bud Grossman, l’impresario di Chicago, a rivelarglielo, dopo aver bocciato la sua audizione. Llewyn non va bene, gli manca la caratteristica fondamentale di un cantante come Troy Nelsn – che abbiamo conosciuto in precedenza: «He connects to people».

Durante il suo viaggio da New York, Llewyn ha conosciuto il jazzista Roland Turner (John Goodman); un uomo incapace di ascoltare e rispettare gli altri, uno che insulta l’ex partner di Llewyn perché si è suicidato buttandosi dal ponte sbagliato. Turner è insopportabile, ma è poi tanto diverso da Llewyn? Pensiamo alla scena in casa della sorella. Llewyn ha mostrato riguardo per lei, solidarietà per il padre all’ospizio? Llewyn è uno che non vuole entrare a far parte di un gruppo, nemmeno quando gli viene offerto come alternativa alla miseria; non rispetta gli altri artisti che dividono il suo palco, tanto che non si accorge che tra loro c’è il giovane Bob Dylan! Non deve rispettare molto neanche l'unico amico che gli dà ospitalità e offre un lavoro, dato che è andato a letto con la sua fidanzata...

Ho letto in almeno una recensione che “la sorte si accanisce contro Llewyn”. Direi piuttosto che è lui a fare tutto da solo. La “sorte”, casomai, gli mette davanti una possibilità di redenzione. Llewyn scopre di avere un figlio da una precedente relazione: da qualche parte, allora, c’è un’Itaca, c’è una Penelope che forse lo aspetta ancora, un Telemaco che ormai cammina sulle sue gambe. Al ritorno da Chicago, Llewyn si trova davanti a un bivio: può tornare a New York, il posto dove tutto e cominciato e dove tutto continuerà ad andare come prima – cioè male. Oppure può imboccare la via di Itaca. Llewyn è combattuto. In un film di Frank Capra o di Steven Spielberg, Llewyn finirebbe per scegliere Itaca, affronterebbe i Proci, e infine riconquisterebbe la sua Penelope. Ma i Coen possono permettersi di mostrarci un protagonista che non riesce a cambiare, e prosegue sulla strada per New York. Poco dopo, il gatto che dall’inizio della storia l’ha costretto al movimento – il gatto, l’animale del diavolo, l’Antagonista – muore investito dallo stesso Llewyn. Di qui in avanti è solo una discesa nell’inferno dei morti viventi.

Uno di questi zombie Llewyn l’ha già incontrato: Turner, il personaggio di John Goodman, la grossa larva che se ne sta sul sedile posteriore, quasi sempre immersa in un sonno profondo. Abbandonato nella sua auto a Chicago, non è chiaro se Turner sia vivo o morto. Non importa a nessuno. Ma Llewyn non sa cogliere questo monito, almeno fino a che, tornato a New York, non visita il padre. Parcheggiato in una camera d’ospizio, il vecchio è ormai ridotto a un vegetale incontinente. «Good to see what I have to look forward to», nota Llewyn con sarcasmo. Ora ha capito quale sarà la sua fine. Più tardi assiste alla performance dei quattro irlandesi che cantano "The Auld Triangle" – il testo parla di un carcerato condannato a morte, un dead man walking. Infine – tornato alla sua condizione iniziale – Llewyn viene preso a calci da uno sconosciuto. A questo punto, la nostra reazione è: «se l’è meritato».

Io amo i fratelli Coen, e per me questo è uno dei loro film più profondi, complessi, maturi.

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