lunedì 25 aprile 2011

L'epifania prima delle casse

Pochi anni fa passai un’estate a lavorare per la Grande Distribuzione Organizzata – il nome fa pensare alla massoneria o alla malavita e dà, fondatamente, le vertigini. Il negozio era uno dei labirintici, infiniti punti vendita di una multinazionale dell’arredamento[1]. Quanto al mio impiego, avrebbe potuto essere più umile o peggio retribuito, ma non meno emozionante. Ero stato assegnato al reparto antecedente le casse; la mia mansione principale consisteva nel mantenere in ordine quegli ultimi, lunghi scaffali che i clienti rimettevano prontamente a soqquadro (uso questa parola con due q con la più impunibile premeditazione). In quel caos ondivago, inaspettatamente, avrei scoperto l’ultimo baluardo della volontà umana.

Per chi – minoranza privilegiata – non sia mai stato cliente della suddetta catena, riassumerò il funzionamento di un regolare punto vendita. Per cominciare, grazie ad alcuni accorgimenti logistici, a un’indecifrabile struttura societaria a scatole cinesi e a metodiche, semilegalizzate evasioni fiscali nei Paesi di mezzo mondo, l’Azienda è in grado di offrire articoli di mobilio a prezzi estremamente vantaggiosi. Per esempio, un Tavolo da cucina in Vero Legno a soli cinquanta euro. Il Cliente, attratto dalla portentosa occasione, varca la soglia del più vicino punto vendita. E si ritrova, suo malgrado, intrappolato in con raffinato inganno architettonico.
 
Infatti prima di raggiungere il Tavolo dei suoi sogni, per non parlare delle casse, il povero diavolo, topo in un esperimento da laboratorio, è forzato ad attraversare un complesso dedalo di reparti, esposizioni e scaffalature. Inutile dire che la via è lastricata di merci le più svariate, seducenti, superflue; e tutte presentate sotto una luce così ben calibrata da risultare irresistibili. Prima di trovare il suo Tavolo prediletto – ammesso che le scorte non siano frattanto esaurite – il cliente si ritroverà col carrello ben satollo di acquisti accessori, più o meno economici e assolutamente non previsti.
 
Vorrei tornare a parlare del mio impiego attraverso un paragone biologico: se il tortuoso percorso attraverso il Negozio si può rappresentare come un intestino, i cui numerosi villi (le merci) blandiscono il Cliente prosciugandolo progressivamente di ogni sostanza, fino a ridurlo, prima dell’espulsione, a uno stronzo, allora il mio reparto di lavoro si trovava particolarmente vicino allo sfintere anale. Eppure proprio in questo luogo così poco nobile avveniva un piccolo miracolo: il cliente, beh, qualche cliente, rifiutava improvvisamente di essere convertito in sterco e riguadagnava per un istante la propria natura umana.
 
Doveva essere la vicinanza delle casse a provocare la repentina epifania: la materialità del denaro, per quanto illusoria, diventava improvvisamente più concreta di quella della merce. Così il cliente, prima di pagare, compiva la sua piccola rivoluzione: si liberava, cioè, di almeno alcune delle merci che non aveva mai avuto intenzione di comprare e che nonostante questo si erano accumulate nel suo carrello. I miei colleghi e io rinvenivamo questi articoli rifiutati in extremis nei più impensabili angoli del reparto. Il nostro compito consisteva, naturalmente, nel recuperarli e riconsegnarli ai reparti di appartenenza, ma c’era chi non perdeva l’occasione per riempirsi le tasche.
 
In ogni modo, ecco il genere di cose che mi capitò di trovare: set di cacciaviti, coccodrilli di peluche, appendini da cucina, tende per la doccia, lampadine alogene, scatole di pastelli, punte per trapani, fiori di plastica, forbici da sarta, grembiuli da cucina, bolle da muratore, marionette da dito, scatole di plastica, cornici di cartone, appendiabiti, scolaspaghetti, portavasi, battipanni, e altre confezioni più misteriose, e ancora oggetti dei quali non riuscii a definire l’utilizzo, e merci, infine, il cui nome non era ancora stato inventato in alcuna lingua parlata dall’uomo, e la cui identità era definita esclusivamente per mezzo del codice a barre.
 
La natura della merce, a mio parere, era così vasta e varia da risultare neutra, e del tutto ininfluente sull’impulso ad acquistarla. Erano la pubblicità, i prezzi e la struttura del negozio a rendere i prodotti - roba della quale il cliente non avrebbe mai sentito la mancanza - necessari. Mi dissi che una catena come quella avrebbe potuto vendere altrettanto bene qualunque cosa. Anche una linea di organi artificiali per il corpo umano.
 
E questa fu la prima ispirazione per “Alla corte del Re Cremisi”.

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[1] Sì, proprio quella multinazionale dell’arredamento la cui campagna pubblicitaria è stata commentata da un rappresentante del governo con un certo numero di cazzate. Ciò è del tutto incidentale, oltre che sgradevole.

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