domenica 8 gennaio 2012

Don DeLillo su J. Edgar Hoover

Sospetto che la sceneggiatura dell'ultimo film di Eastwood, firmata da Dustin Black (Milk), punti all'appiattimento e all'apologia (se non all'agiografia) di una delle figure più ambigue e controverse del novecento. Forse però si tratta meno di revisionismo che di mediocrità. Per un confronto impietoso, è interessante vedere come Don DeLillo ha reso il personaggio di Hoover nel suo monumentale Underworld. Riporto di seguito un paio di estratti dal prologo.


– Su, Jedgar, confessa. Qual è la tua squadra?
J. Edgar. Frank a volte lo chiama Jedgar e al Direttore il nome piace sebbene non lo dia a vedere – è medioevale, principesco, fosco e scaltro.
Sulla faccia di Hoover striscia l'ombra di un sorriso.
– Non ho un interesse vincolante. Chiunque vinca, – dice a voce alta. – Quella è la mia squadra.


Morti che sono venuti a prendere i vivi. Morti avvolti nel sudario, reggimenti di morti a cavallo, uno scheletro che suona l'organetto.
Edgar si è fermato nel corridoio per affiancare le due pagine combacianti della riproduzione. La gente sta scavalcando i sedili, lancia grida rauche alla volta del campo. Lui sta fermo con gli occhi fissi sulle pagine. Non si era accorto di avere solo metà del quadro finché non è arrivata svolazzando anche la pagina di sinistra, offrendogli la fugace visione di un terreno marrone ruggine e di un paio di uomini scheletrici intenti a tirare le corde di una campana. La pagina ha sfiorato il braccio di una donna ed è volato contro il petto di Edgar timorato di Dio.
Thomson è sbucato al centro del campo esterno adesso, e cerca di schivare i tifosi che arrivano correndo e saltando. Gli saltano addosso, vogliono buttarlo a terra, mostrargli le foto di famiglia. Edgar legge le didascalie sulla pagina di sinistra. Questa è un'opera del sedicesimo secolo dipinta da un maestro fiammingo, Pieter Bruegel, e si intitola Il trionfo della morte.
Un titolo forte, pensa.
Ma ne è affascinato, lo ammette – la pagina di sinistra è forse migliore di quella di destra.
Osserva la carretta dei condannati a morte piena di teschi. È fermo nel corridoio e guarda l'uomo inseguito dai cani. Guarda il cane macilento che mordicchia il neonato tra le braccia della madre morta. Sono segugi lunghi, scarni e famelici, sono cani da guerra, cani dell'inferno, segugi da fossa comune infestati dai parassiti, da tumori canini e cancri canini.
Il caro Edgar senza-germi, l'uomo che ha installato in casa un impianto di filtraggio dell'aria per vaporizzare le particelle di polvere – è affascinato da ulcere, lesioni e corpi macilenti a patto che il suo contatto con la fonte sia puramente figurativo.
Trova una seconda donna morta nel mezzo della scena, cavalcata da uno scheletro. La posizione è inequivocabilmente sessuale. Ma è proprio sicuro Edgar che sia una donna quella che viene montata e non un uomo? È fermo nel corridoio circondato da gente festante e ha gli occhi fissi sulle pagine. Il quadro possiede un'immediatezza che Edgar trova strabiliante. Sì, i morti si accaniscono sui vivi. Ma poi incomincia ad accorgersi che i vivi sono peccatori. Giocatori di carte, amanti libidinosi, vede il re in manto di ermellino con le sue ricchezze ammassate dentro barilotti. I morti sono venuti a svuotare le borracce ricolme di vino. A servire un teschio sul piatto di portata a una tavolata di notabili. Vede ingordigia, lussuria e cupidigia.
Edgar adora quella roba. Edgar, Jedgar. Ammettilo – ti piace molto. Ti fanno venire la pelle d'oca. Scheletri col cazzo peloso. Scheletri che suonano il timpano. Un morto vestito di un saio che taglia la gola a un pellegrino. I colori della carne sanguinolenta e le cataste di corpi, questo è un censimento dei modi più orribili di morire. Guarda il cielo fiammeggiante all'estremo orizzonte, al di là dei promontori sulla pagina di sinistra – la Morte altrove, la Conflagrazione diffusa, il Terrore dappertutto, cornacchie, corvi in silenziosa planata, il corvo appollaiato sulla groppa del cavallino bianco, bianco e nero per sempre. Edgar pensa a una torre solitaria che si erge nel Kazakistan, nella zona degli esperimenti nucleari, una torre armata con la bomba, e riesce quasi a sentire il vento che soffia sulle steppe dell'Asia Centrale, là dove vive il nemico in cappotto lungo e colbacco di pelo, parlando quella sua lingua antica, liturgica e grave. Che storia segreta stanno scrivendo? C'è il segreto della bomba e i segreti che la bomba ispira, cose che non riesce a indovinare nemmeno il Direttore – un uomo il cui cuore appartato racchiude tutti i purulenti segreti del mondo occidentale – perché queste trame si stanno sviluppando solo adesso. Ma una cosa sa per certo, ed è che lo spirito della bomba è impresso non solo nella fisica di particelle e raggi ma nell'occasione che crea per nuovi segreti. Perché per ogni esplosione atmosferica, per ogni immagine fugace che riusciamo a cogliere della forza bruta della natura, quell'inquietante occhio senza palpebre che esplode sul deserto – per ciascuna di queste cose, Edgar immagina che almeno cento segreti vadano sottoterra, a moltiplicarsi e a tramare.
E qual è il rapporto tra Noi e Loro, quanti collegamenti troviamo nel labirinto neurale? Non basta odiare il proprio nemico. Bisogna capire che ciascuno dei due contribuisce alla completezza dell'altro.
Morti di lunga data che fottono morti recenti, morti che dissotterrano le bare. Sulle colline, morti che suonano vecchie campane incrostate, rintocchi per i peccati del mondo.
Alza gli occhi per un momento. Distoglie lo sguardo dalle pagine – è uno sforzo di volontà lacerante – e guarda la gente sul campo. Quelli che sono felici e inebetiti. Quelli che corrono intorno alle basi gridando a squarciagola il punteggio. Quelli che sono talmente eccitati che stanotte non dormiranno. Quelli la cui squadra ha perso. Quelli che tormentano i perdenti. I padri che correranno a casa a raccontare ai figli quello che hanno visto. I mariti che faranno una sorpresa alle mogli portando fiori e cioccolatini. I tifosi ammassati davanti ai gradini degli spogliatoi che recitano in coro i nomi dei giocatori. I tifosi che fanno a pugni sul metrò tornando a casa. Gli urlatori e gli attaccabrighe. I vecchi amici che si incontrano per caso vicino alla seconda base. Quelli che illumineranno la città con la loro gioia.  
Don De Lillo, Underworld (Einaudi). Traduzione di D. Vezzoli.

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